20110314

Elasto-plasticità

Se immaginassi qualcosa di elastico, di molto elastico, dovrei aspettarmi che qualunque carico, una volta passato, non lascerà traccia alcuna sulla struttura di partenza e tutto tornerà esattamente com'era prima. Ma esiste qualcosa che sia concretamente così? Direi proprio di no, perché anche già solo il tempo finisce con incidere profondamente sulla capacità elastiche di uno stesso materiale e quindi, ammesso che esistesse questa molecola ideale, non potremmo mai tirarla fuori anche dal tempo in cui si trova, una volta passata dal regime della semplice astrazione a quello della oggettivamente più complessa realtà. Data una qualsivoglia struttura, c'è quindi sempre una soglia del carico ben precisa, e non nota a priori, oltrepassata la quale risulta impossibile far finta che non ci sia mai stato il carico stesso.
Sarà per questo forse che ogni volta che c'è da superare una crisi e che quindi, con il lavoro, si cerca di tornare almeno al punto di partenza, diciamo alle condizioni iniziali, ci si scontra con situazioni per le quali il punto chiamiamolo di non ritorno elastico è stato abbondantemente superato e si è ormai dentro ad un campo "elasto-plastico" così incasinato che non vale proprio la pena di provare a ripercorrere all'indietro tutte le fasi sperando di azzerare, alla fine, gli effetti di un intero ciclo. Molto più logico mi sembra provare a risalire, a rialzarsi, seguendo una strada ben diversa. Dare per scontato che le deformazioni plastiche avvenute non si recupereranno mai più e puntare non al ripristino dello stato precedente la crisi, ma alla determinazione di un nuovo equilibrio anche migliore del precedente, che avrà dentro di sé i segni in parte indelebili della "caduta" subita, le cicatrici, ma che risulterà molto più stabile della stessa configurazione iniziale.