20090320

Van Gogh

Quando penso all'arte, come al solito, penso a quanto io sia ignorante. Giusto per dirne una, domenica l'altra passeggiavo nel Bosco di Capodimonte con mia figlia e c'era, già di mattina presto, una bella coda di persone che aspettavano il loro turno per entrare in una mostra di non so quale pittore, ospitata nel Museo all'interno del Bosco. C'era scritto grande il suo nome su un cartellone (me lo so' pure scordato, ma dopo vado su Google e lo ritrovo) e mia figlia mi fece: "Come si pronuncia?" Ed io, che da quel nome manco ero stato in grado di capire più o meno l'area geografica di provenienza, fui costretto a risponderle: "Veramente non lo so". E' brutta l'ignoranza, eh.
Ma comunque non volevo dire solo questo stamattina. C'è anche un'altra cosa. L'evoluzione artistica (al di là del singolo, ma ragionando in modo collettivo) che ho avuto modo, molto grossolanamente, di percepire nella pittura diciamo dall'anno Mille ad oggi mi dà l'idea di un passaggio che nella letteratura mi sembra molto più facile cogliere ed esprimere. In passato era tutto molto più aderente alla visione che ognuno di noi può avere della realtà. La bravura si misurava in quanto si riusciva ad andare vicino a qualcosa di visibile a tutti. Oggi è diverso. C'è chi sa mettere nero su bianco (o su tela) una sua visione che non tutti sarebbero in grado di cogliere da soli, con i loro occhi o con i loro sensi, più in generale. Uno osserva un'opera d'arte e la reputa bella perché gli ha aperto gli occhi in un modo che non immaginava possibile. Non gli verrebbe mai in mente di confrontarla con qualcosa di già noto per dire se è bella. Non so se ho reso, ma è tardi. Dico solo che una scrittrice che conosco è così. Lei scrive ed io vedo.

Nessun commento: