20090225

Le differenze finite

Esistono fenomeni complessi che è bello poter analizzare in modo razionale al fine di comprenderne le evoluzioni per tempo. Essendo complessi, però, l'utilizzo di una singola equazione (anche di grado elevato), o anche di disequazioni che delimitino i campi in cui il fenomeno di interesse finirà inevitabilmente col trovarsi, è oggettivamente improponibile. Anche l'artificio, sempre possibile, di intersecare la soluzione mediante sistemi di equazioni resta sostanzialmente poco soddisfacente. E quindi? Quindi si può ricorrere al "Metodo delle differenze finite".
Ora è chiaro che qui non è semplicissimo descrivere tutto il metodo, ma mi piace spiegare giusto quel tanto che basta per far capire a chiunque sappia anche solo leggere quanta ignoranza c'è in giro sulla possibilità di certi approcci. Col metodo delle differenze finite si può analizzare abbastanza bene qualunque fenomeno, anche molto complesso, del quale si possano avere delle misure (seppur sporadiche) e del quale si possa avere a disposizione in qualche modo uno scopo ultimo, un traguardo anche solo teorico che si può intravedere osservando attentamente il fenomeno.
Esempio del fiume. Supponiamo di avere a disposizione il tracciato plano-altimetrico di un fiume, un fiume qualunque. Sappiamo la quota alla sorgente, sappiamo bene come si sviluppa il suo percorso normalmente e conosciamo la foce, a quota poco più che zero sul livello medio del mare. Ci poniamo un quesito. A seguito di abbondanti piogge, di scioglimenti rapidi di neve in quota e di contemporanee riduzioni di sezioni dell'alveo dovute per esempio a piccole frane, vogliamo sapere in una certa zona a che livello potrà arrivare l'acqua e, quindi, se certe zone possono ritenersi o meno a rischio esondazione. Possiamo partire praticamente sparando un numero qualsiasi, così, a caso. Con le differenze finite, poi, lo andremo a confrontare con un profilo idraulico teorico del fiume che tiene conto di tutte le informazioni già note, integrate da alcune informazioni locali sulla quota idrica misurata in alcuni punti significativi specifici, dove tra l'altro, ci è più facile misurarla. Ne deriverà una differenza, che ci farà capire se abbiamo esagerato in eccesso o in difetto. A questo punto "spareremo" un'altra quota, più verosimile, e rifaremo tutti i conti. Si dimostra che il metodo "converge" abbastanza rapidamente.
Ora, passando ad un qualunque altro fenomeno che vogliamo osservare, è chiaro che è facile dedurre dopo pochi tentativi come siamo messi in una certa faccenda, se sappiamo delle informazioni di base sul fenomeno, anche solo teoriche, se riusciamo a misurare (anche solo in alcuni punti in cui è più facile) alcune grandezze significative nella descrizione del fenomeno e se cominciamo a "sparare", anche solo a caso, valori di quelle grandezze in altri punti solo per capire di quanto ci siamo sbagliati, per poi correggere il tiro, fino alla convergenza.
E quest'è.

5 commenti:

SandalialSole ha detto...

Il metodo delle approssimazioni progressive, su per giù. uhm.. l'approssimazione per difetto chissà perchè mi sembra sempre meno rischiosa di quella per eccesso. forse perchè - soprattutto quando si parla di acqua - si può sempre aggiungere. il problema è quando ormai è esondata

sblogged ha detto...

Le differenze finite consentono approssimazioni progressive, esatto. Rispetto alla tua osservazione ti dico che può essere uno schema "difensivo" quello di sparare grosso. Proprio con riferimento alle esondazioni è più cautelativo eccedere nel dimensionamento degli argini, per esempio, anche se, devo dire, a me piacciono di più le difese attive di quelle passive. Meglio una vasca di laminazione che un argine, nello specifico, ma questo richiede capacità di analisi e di progettazione più fini. Un argine, specie in passato, si misurava basandosi sul concetto "a memoria d'uomo" e si inviluppavano tutte le già avvenute piene, incrementando sempre un po' di più, così, a spanne. Adesso, con la precisissima mappatura possibile del territorio, con elaboratori in grado di simulare in pochi istanti scenari di qualsiasi genere, sarebbe un crimine progettare a spanne, o "a memoria d'uomo". L'umanità per fortuna si evolve, in tutto. Come del resto sai bene.

Anonimo ha detto...

So che sono fuori tema, ma mi fai venire in mente i miei esperimenti in cucina. Si va per tentativi, alla ricerca della ricetta perfetta. Vabbeh, tu la chiami convergenza. Il bello è che chi ci ama accetta anche i tentativi imperfetti. Ieri a Venezia abbiamo parlato anche di mose, avrei bisogno di un aggiornamento sullo stato delle dighe. Ciao

sblogged ha detto...

Anche in cucina si va per tentativi, ma si converge se si è bravi. Io lì divergo, per esempio. Mi puoi dare anche i migliori ingredienti, ma finisce comunque male, quasi sempre. Aggiornamento sul Mose qui? No, dai. Potresti chiamare il Presidente del Magistrato delle Acque, come si chiama, aspe', Patrizio, Patrizio Cuccioletta. L'hanno nominato a ottobre (nomina governativa). Io me la faccio solo al Sud, oramai (per le ovvie mancate nomine governative). Ciao a te!

Anonimo ha detto...

Figurati se vado a chiamare il cucciolotto per il mose, e mostrare urbi et orbi la mia enorme ignoranza in materia. Con te, se nn capisco qualcosa, posso dirlo apertamente senza imbarazzarmi. In cucina, a me non piace convergere, nel senso che mi diverto molto di più ad andare per tentativi seguendo la fantasia. Penso che le riccette uccidano la creatività per cui, sempre partendo da buoni ingredienti, mi diletto a sperimentare. Ogni piatto è una sorpresa, a volte una schifezza. Con le persone, la comprensione va per tentativi, ma si sperimenta meno. Le convergenze si tengono ben care e le divergenze ... boh, non divergono le prime. Ciao