20080528

Una gita in bici

Eravamo tanto amici, io e Pasquale, ed amavamo tanto andare in bicicletta. Erano due biciclette molto diverse, la mia, da corsa, che mio padre mi regalò per i 14 anni, dicendomi che sarebbe andata molto più veloce di un motorino, se avessi fatto girare alla grande i giusti rapporti. La sua, quella di Pasquale, che il padre non l'aveva mai conosciuto, era stata già del cugino ed era una di quelle cosiddette da passeggio, ma la faceva correre, oh se la faceva correre, quando voleva.
Quel giorno decidemmo di arrivare fino a Varcaturo, fino al mare, in un pomeriggio caldo e corremmo, alternandoci a tirare, come vedevamo fare al Giro d'Italia, che ci piaceva tanto coi suoi Moser, i suoi Saronni. Poi, al ritorno, stavamo risalendo a Qualiano, quando, senza dirlo, in quel vialone che c'era lì un tempo, ci ritrovammo come in una volata, per vedere chi riusciva ad arrivare primo ad un traguardo che non c'era, ma che io e lui vedevamo lo stesso.
Vinsi io, e mi vergognai. I benefici tecnici di cui godevo mi consentivano un enorme vantaggio, la bicicletta più leggera, il rapporto tosto che sviluppava metri e metri per ogni giro di pedali, eppure non vinsi di molto. Pasquale ha dovuto pedalare tanto più di me nella sua vita, ed ha cominciato già da piccolo, su certe salite, a cercare di ridurre il gap di svantaggio che il destino gli aveva imposto fin dal suo primo respiro. Oggi è felice, oggi ha una figlia che è un amore. Sua moglie è una donna intelligente e bella. Ed io gioisco per loro.