20090204

In galleria

Sono spesso in galleria. Gallerie minuscole, dove devo camminare piegato, col caschetto in testa perché comunque, ogni tanto, la zucchetta tocca qualche asperità. Gallerie più grandi, quelle della funicolare, o della metro, in cui sfrecciano (si fa per dire) trenini elettrici pieni di pupazzetti colorati che vanno avanti e indietro, tutto il giorno.
Mi colpisce sempre un fatto. L'ansia crescente quando il trenino si ferma (l'altro giorno un quarto d'ora sotto Corso Vittorio Emanuele). Oppure il sudore freddo dell'operatore al pendolo rovescio con 100 metri d'acqua in testa al Pertusillo, quando la botola dentro cui ci eravamo calati non si aprì più da dentro, e ci vennero a prendere con i cani per capire in quale fosso eravamo finiti, io e lui. Che fine sarebbe stata, però!
In effetti se uno entra a Dante e scende a Colli Aminei se ne fa 20 e più di minuti in galleria, ma sempre in moto, con qualche rapida fermata in cui i pupazzetti si alternano. Entra la rossa a Vanvitelli, ed esce il bullo che va a far casino al Vomero. Entra il vecchietto a Policlinico, dove scende la studentessa bona di Farmacia. E uno non ci pensa alla galleria. 20 minuti che volano. Poi si ferma la funicolare un quarto d'ora e tutti pensano al figlio che non rivedranno più. Certo che la gente è strana. Prima si odia e poi si ama, no, quella è la canzone, sorry.
Anche nei cunicoli è così. Si cammina per ore, a volte, e si ride, si scherza con ragni neri grossi quanto noci, che ti penzolano davanti all'improvviso, con le perdite che permeano il muro in teoria impermeabile, perché la pressione vince sempre, alla fine. Si parla del Bova giovane, che in quei cunicoli si fece l'attricetta che la madre aveva solo per poco perso di vista. Non si pensa a cosa sarebbe restare lì dentro per una mancanza di ossigeno improvvisa, sempre possibile. Poi senti una botola che sbatte e ti cachi sotto per quei ridicoli 40 minuti al buio, chiusi dentro la piramide nella valle del petrolio italiano.
In galleria, insomma, bisogna muoversi. Si attraversano veloci, le gallerie. Si deve superare presto il buio. Mai fermarsi, ce lo dice l'inconscio.
Io vedo la luce, ora.

2 commenti:

Allure ha detto...

Soffro di claustrofobia e leggere questo post mi ha messo un'angoscia crescente. Non vedevo l'ora di vedere la luce. Le mie gallerie sono quelle sotto le Alpi, Frejus, Montebianco, Sempione e altri nomi che nn ricordo. Le facciamo solo per comodità e tempo, ma è molto più bello fare i passi, come il Moncenisio, che poi lassù c'è anche un bel laghetto. Le gallerie piccole, sempre più piccole, dentro le montagne come il Pasubio o il monte Cengio o il Grappa, sono altra cosa, ma già meno angosciode di quelle nell'acqua di cui parli. Ma le gallerie che mettono più angoscia, nn paura, sono quelle che si scavano dentro se stessi in preda ai dubbi, alle paure, alle insicurezze, e da lì è molto più difficile riemergere. Ciao PS Non scherzo, ho ancora la tachicardia. Mai pensato di scrivere un giallo?

sblogged ha detto...

Quando entro in funicolare, o in metro, so già che una sosta imprevista è possibile, anzi auspicabile è il blocco della macchina in caso di un'anomalia qualunque. Ben venga una sosta, quindi, per la mia sicurezza. Eppure vedo che, mediamente, a livello inconscio, si tende a non pensare alla galleria quando si è in moto e a temerla in caso di una fermata. La galleria sempre quella è. Nei cunicoli è già diverso, ma prima di scendere io chiarisco sempre un punto. E' inutile che scendiamo in 4 per farci compagnia, meglio che 2 restino fuori e continuino a ragionare anche in caso di un imprevisto, piuttosto che scendere anche loro. Ma lì è già più un fatto di lavoro e ci viene in soccorso la legge, per fortuna. Poi ci sono i tunnel interiori. Ho avuto modo di capire, a mie spese, che troppe persone nello stesso tunnel non si aiutano, anzi, si tolgono aria reciprocamente. Preferisco esplorarmeli da solo, quindi, che è meglio. Ora i miei li conosco abbastanza bene tutti, e so dove ci sono le uscite di sicurezza, le scalette di emergenza, i lucernai per aver un po' di conforto. Ciao a te. Ah, il giallo. No, mai pensato di essere all'altezza. Ne ho letto qualcuno di qalche mostro sacro in materia, ma neanche tanti, in fondo.